DSA: il ruolo dell'Insegnante

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  1. Dott.ssa Scala
     
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    Ogni insegnate ha il compito di favorire il profitto di ogni studente in base alle sue caratteristiche, rafforzando i suoi punti di forza e aiutandolo ad affrontare le sue debolezze. Nel caso dello studente con DSA, i docenti devono attivare un piano didattico personalizzato (PDP) comprensivo delle misure compensative e dispensative e dei criteri di valutazione personalizzati; questo è ciò che viene stabilito dalla normativa vigente.
    Il ruolo degli insegnanti è, dunque, fondamentale nei casi di disturbi dell'apprendimento. Per primi, infatti, possono individuare le difficoltà che incontrano i bambini e le bambine che ne soffrono e aiutare le famiglie ad affrontare il problema, invitandole a rivolgersi a un centro specializzato per avere una diagnosi e per poter poi programmare un percorso adeguato.
    Per questo motivo è molto importante che la scuola investa sulla formazione continua degli insegnanti, che solo conoscendo profondamente i DSA possono acquisire le competenze necessarie e basilari per svolgere al meglio il loro bellissimo lavoro!

    Come deve comportarsi un insegnante se sospetta casi di DSA in classe?
    Cosa deve dire ai genitori?
    Come può adeguare la didattica di classe allo studente con DSA?
    Lo studente dislessico deve leggere ad alta voce?

    Che la discussione abbia inizio!
     
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  2. biancarondello
     
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    Sono un'insegnante di lingue straniere (inglese e spagnolo) che vuole formarsi costantemente per rendere un servizio migliore ai suoi alunni, alle loro famiglie e ai colleghi con cui lavora. Credo che un buon insegnante dovrebbe essere da un lato sensibile agli indizi anche più impliciti della presenza di soggetti con DSA e dall'altro in grado di affrontare la cosa in maniera idonea. A parer mio è deleterio ad esempio rimproverare lo studente o ancor peggio far sì che divenga oggetto di derisione da parte del resto del gruppo. Percepito il disturbo, è fondamentale aiutare lo studente sia in classe attraverso un atteggiamento collaborante e incoraggiante, che chiamare i genitori per poter parlare con loro, descrivere la situazione e consigliare loro di affidarsi a figure professionali quali il neuropsichiatra o lo psicologo e comunque contribuire al percorso dell'alunno da quel momento in poi, anche grazie all'applicazione del PDP. Lo studente quindi inizierà il suo percorso, non privo di difficoltà e ricadute, contando anche sul sostegno dell'insegnante, che ad esempio non lo forzerà a leggere ad alta voce se non se la dovesse sentire, soprattutto in un primo momento, e che lo affiancherà nei momenti in cui la discrepanza fra il livello di apprendimento del resto del gruppo e il suo sia magari esplicita e possa scoraggiare il soggetto affetto da DSA.
     
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  3. Dott.ssa Scala
     
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    E se i genitori dovessero rifiutare che il proprio figlio abbia delle difficoltà? In che modo è possibile riuscire a spiegare quali siano le problematiche del bambino, senza entrare in conflitto con i genitori?
    Spesso mi sono sentita raccontare dagli insegnanti che, una volta descritte ai genitori le difficoltà del figlio, la risposta è stata: "Ma è lei che non riesce a motivarlo a sufficienza, non è mio figlio che ha difficoltà ad apprendere!"

    Come affrontare una situazione tanto delicata?
     
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  4. biancarondello
     
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    È verissimo, succede spesso. Dinanzi alle difficoltà, tutti noi spesso tendiamo o a dare le colpe al prossimo oppure a evitare il problema, affermando che la cosa non sussiste o sminuendone l'entità. A volte quindi i genitori non accettano di buon grado i consigli dei docenti perché accettare che il proprio figlio abbia un disturbo è difficilissimo, che non lo hanno carpito loro per primi ancora meno. Secondo me bisogna intanto prepararsi all'eventualità di una reazione negativa o comunque poco collaborante, ma allo stesso tempo è fondamentale porre a loro la questione usando le parole e i modi più appropriati. Fare sentire loro che la vicinanza e il sostegno del docente ci sono e ci saranno sempre è già un buon inizio, usare formule come "noto/comprendo la tua preoccupazione, cerchiamo insieme di trovare la soluzione migliore per... tuo figlio (chiamandolo per nome)" e far capire loro che il bambino non è l'unico al mondo oppure un soggetto condannato a vita possono essere tecniche utili ai fini del raggiungimento di un buon dialogo docente-genitori. In più, delicatezza, pazienza e professionalità non devono venire mai meno durante il colloquio, mostrare poi ai genitori qualche "prova" di ciò che si sta dicendo potrebbe essere una buona soluzione, sempre se fatto in maniera attenta e rispettosa.
     
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  5. ames2
     
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    Buona sera a tutti, io sono una psicologa e mi è capitato di lavorare in collaborazione ai docente durante il periodo di tirocinio; la mia tutor seguiva dei bambini con DSA ed un caso, in particolare, è stato molto complicato da gestire.
    Era una bambina che aveva appena iniziato la terza primaria, con molte difficoltà sia in lettura (leggeva lentamente e commettendo errori) che nella scrittura (aveva seri problemi nel seguire la dettatura dell'insegnante e commetteva diversi errori ortografici). Le è stata fatta diagnosi di dislessia con associata disortografia, ma nonostante le insegnanti più volte avessero spiegato la situazione ai genitori, sottolineando come fosse importante per la bambina (oltre al PDP) un trattamento specifico da uno specialista.
    Non solo i genitori non hanno mai voluto portare la bambina dalla psicologa (la mia tutor - tranne che per gli incontri iniziali allo scopo di avere una diagnosi), ma hanno anche più volte rimproverato la docente di italiano, la quale secondo loro non era abbastanza brava nel motivar la figlia. Inoltre, hanno preteso che la bambina fosse dispensata dallo studio della lingua inglese, cosa secondo me sbagliatissima, vista l'età della bambina.
    La mia tutor si è sempre resa disponibile a partecipare agli incontri con insegnati e genitori, ma non ha mai avuto modo di lavorare con la bambina perchè i genitori l'hanno sempre vista come "un impegno in più per la bambina, che già sta tutto il pomeriggio al doposcuola..."
    In questi casi è davvero molto difficile gestire il rapporto con i genitori, sia per gli insegnanti che per i professionisti impegnati nella gestione dei DSA.
     
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  6. Dott.ssa Scala
     
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    Bianca sono d'accordo sul fatto che trovare il modo più appropriato e gentile per descrivre la situazione del figlio sia fondamentale, così come molto importante è far capire ai genitori che l'insegnate non è il nemimo ma un fedele alleato!

    Ames situazioni simili a quella descritta da te sono molto comuni, in ogni caso la professionalità sia degli insegnanti, sia dei professionisti esterni è sicuramente un buon punto di partenza per potenziare la collaborazione con i genitori. Per fortuna esistono anche molti genitori che hanno la capacità di comprendere l'importanza di una cooperazione costante scuola-famiglia-professionisti!
    Inoltre, riguardo il tuo dubbio sulla dispensa dalla lingua inglese è fondato, poichè una dispensa totale dalla lingua straniera è appropriata solo in periodi successivi, non prima della scuola secondaria di primo grado. Una bambina in terza primaria ha ancora molto tempo per imparare, con i suoi tempi, una lingua straniera come l'inglese; è certo che per una bambina dislessica l'inglese risulta molto complicato, ma non ha senso escludere completamente la possibilità che la bambina possa familiarizzare con tale lingua a modo suo.
     
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  7. biancarondello
     
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    A tal proposito ho trovato molto utile una slide in particolare, contenuta nell'allegato 3 del primo modulo fornitoci dalla Dottoressa Scala. Cito testualmente:

    Fattori protettivi (Bonfèeal.2005):
    • Diagnosi precoce e precisa
    • Presenza di un ambiente familiare capace di accettare e condividere la diagnosi
    • Possibilità di fare esperienze extrascolastiche gratificanti
    • Sentirsi riconosciuto dal gruppo dei coetanei
    • Contesto scolastico attivo e collaborativo che dia peso alla componente emotiva legata alle difficoltà scolastiche
    • Per tutti i soggetti gli insuccessi scolastici antecedenti alla diagnosi rappresentano un periodo traumatico in cui la presenza di adulti capaci di capire è fondamentale per proteggere il bambino da attribuzioni causali negative ed errate.

    Questi 5 punti riescono a riassumere le modalità e le incidenze che possono influire positivamente sul progresso di un soggetto con DSA. La diagnosi ad esempio è importantissima, se fatta in maniera corretta e in tempi ristretti, sono anche a favore, ove possibile, dell'ipotesi diagnostica in prima elementare. Serve almeno a pianificare momenti di verifica successivi ( in seconda elementare, per esempio). Gli altri quattro punti sono altrettanto importanti a mio parere, la famiglia e il contesto scolastico giocano un ruolo fondamentale nel percorso del soggetto con DSA: maggiori sono la collaborazione, il dialogo, la preparazione e la condivisione, maggiori sono le probabilità che potrà avere il soggetto di progredire, facendo affidamento su due contesti collaborativi e comprensivi.
     
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  8. Dott.ssa Scala
     
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    Sono completamente d'accordo su quanto scritto da Bianca, compresa la possibilità di una ipotesi diagnostica precoce. Tale possibilità è da alcuni criticata, in quanto "potrebbe portare ad etichettare erroneamente un bambino come DSA". Ma ciò che penso io è che la critica vada fatta proprio a questo tipo di mentalità: fare diagnosi di DSA non vuol dire etichettare un bambino, ma significa dargli la possibilità di usare gli strumenti più adeguati per apprendere in modo semplice; prima tale ipotesi diagnostica viene evidenziata, prima il bambino potrà iniziare ad apprendere in modo più naturale e piacevole.
    Inoltre, l'ipotesi diagnostica, in quanto ipotesi, è da verificare, dunque non può compromettere il percorso di apprendimento del bambino; a tal proposito fondamentale sarà il ruolo svolto dagli insegnanti che, giornalmente, potranno verificare l'eventuale miglioramento del bambino e collaborare con il professionista esterno per confermare o meno l'ipotesi diagnostica iniziale.
     
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  9. biancarondello
     
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    Si, d'accordo, infatti quello che penso è che noi insegnanti dovremmo vivere il discorso diagnostico come una necessità e una grande responsabilità. Siamo quelle figure privilegiate che prima degli altri (per questioni di tempo, di formazione e di campo d'azione) hanno la possibilità di notare indizi riconducibili a un DSA. Come possiamo trasformare allora il bisogno di colmare questa responsabilità mediante la capacità di saper dare risposte concrete ai nostri alunni e alle loro famiglie? Formandoci costantemente e cercando di cogliere i sintomi in maniera sempre discreta ma efficace. Credo che il modo migliore per convincere un docente o un genitore dell'importanza di aiutare un soggetto con DSA, mediante la diagnosi precoce, la creazione di un PDP, l'accettazione del problema, etc.., è quello di far loro presente il concetto di finestra evolutiva. Ricordare loro che l'attività di recupero ha la massima efficacia durante il periodo cosiddetto sensibile è un modo per spronarli ad agire, capire, informarsi, aiutare e non fermarsi. Del resto, precludere al bambino la possibilità di iniziare la riabilitazione prima possibile implica una riduzione deleteria delle possibilità di un buon recupero e, conseguentemente, l'unica soluzione possibile si riduce nell'applicazione di misure compensative. Queste ultime, seppur in grado di migliorare la vita di un soggetto con DSA, non potranno mai garantire gli stessi risultati di un lavoro rieducativo programmato in seguito a una diagnosi precoce.
     
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8 replies since 10/2/2014, 12:42   61 views
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